A partire dal Seicento si diffuse presso i ceti aristocratici europei la moda dei grandi viaggi che nel secolo successivo si configurò come una vera e propria istituzione, il Grand Tour.
Le famiglie aristocratiche spingevano i propri figli a trascorrere diversi mesi, o anni, ad approfondire la conoscenza di aspetti culturali, artistici e paesaggistici che avevano ispirato pittori e letterati delle epoche passate, viaggiando sulle tracce delle antiche culture e arricchendo così le loro conoscenze.
L’esperienza del “grande viaggio“ serviva anche per acquisire le doti considerate indispensabili ai membri della futura classe dirigente: intraprendenza, coraggio, attitudine al comando, capacità decisionale, conoscenza delle lingue e dei sistemi di governo, dei costumi e del galateo degli altri Paesi.
La prima persona ad adottare l’espressione Grand Tour fu Richard Lassels nel suo The voyage of Italy del 1670; descrisse il viaggio in Italia che dal 1636 andava difendendosi tra le élite culturali del Nord Europa.
Il percorso classico del Grand Tour
Il viaggio iniziava da un porto della Manica: la prima tappa prevedeva la Francia e la visita della città di Parigi, centro indiscusso della vita intellettuale del vecchio continente. Lasciata Parigi, attraverso la valle della Loira e lungo il Rodano, si arrivava a Lione. Successivamente il percorso si sdoppiava: o si continuava verso Avignone per giungere poi in Provenza, a Marsiglia e a Nizza, oppure si proseguiva per Chambery, verso i passi alpini.
L’obiettivo era arrivare in Italia, destinazione con ricche testimonianze del periodo Romano, medievale e rinascimentale. Era la metà finale e irrinunciabile del viaggio. Attraverso il mare si arrivava a Genova o direttamente a Livorno per visitare Firenze e la Toscana. Altri sbarcavano a Civitavecchia, porto dello Stato pontificio, per poi spingersi fino a Napoli.
Chi optava per la via alpina (attraversando territori impervi e strade molto pericolose) si dirigeva verso Torino e Milano. Le vie d’acqua non si utilizzavano spesso ma erano percorse per giungere (attraverso il Po) a Ferrara e Ravenna; di lì si proseguiva per Padova e, lungo il Brenta, fino a Venezia.
L’itinerario classico prevedeva che si scendesse (o si risalisse) la Penisola lungo la dorsale appenninica, da Bologna a Firenze o, sul versante Adriatico, passando per Ancona e Loreto, sede del santuario mariano, uno dei luoghi più visitati.
Dopo il passo appenninico di Radicofani, iniziava la discesa verso Roma (la cui area archeologica si estendeva fino a Tivoli, Frascati, Albano e Nemi) e da qui a Napoli (con Ercolano, Paestum, Pompei), che fu per tutto il XVIII secolo la città più meridionale toccata dal Grand Tour. Nella seconda metà del Settecento si cominciò a intraprendere il viaggio verso la Sicilia; alcuni la raggiungevano via terra attraversando Puglia e Calabria, altri si imbarcavano a Napoli e approdavano a Palermo.
La trasformazione del viaggio
Inizialmente i viaggiatori erano solo i giovani con un’età dai 16 ai 22 anni, di nobile famiglia, accompagnati da tutor più anziani. In seguito, la moda del Grand Tour si diffuse anche tra i meno giovani e si misero così in viaggio diplomatici, filosofi, amanti dell’arte, pittori, poeti (Goethe scrisse, dopo il suo soggiorno in Italia, il libro Italienische Reise – Viaggio in Italia, considerato per decenni la “bibbia” del Grand Tour), letterati e facoltosi Borghesi.
Nel Settecento un uomo colto non poteva non conoscere i luoghi e le opere artistiche delle città del Grand Tour e verso la fine del secolo cominciarono a viaggiare anche le donne, antesignane delle grandi viaggiatrici dell’800.
Col tempo cambiò anche le durata del viaggio: si passò 40 mesi del Seicento, ai 30 mesi nella metà del Settecento fino ad arrivare a soli 4 mesi agli inizi dell’Ottocento. Vennero eliminate le lunghe soste nei luoghi di transito e ridotti giorni nei luoghi di soggiorno. Agli inizi dell’Ottocento Venezia, Firenze, Roma e Napoli assorbivano da sole quasi l’intera durata del tour riservando agli altri centri solo una sorta di transito.
Il Grand Tour incontrò difficoltà verso la fine del Settecento, quando le guerre napoleoniche resero pericolosi i viaggi nel continente, in particolare dopo l’invasione dell’Italia nel 1796 .
L’aristocrazia inglese e la borghesia cominciarono poi a visitare le proprie colonie; l’India, meta affascinante ed esotica, divenne una tappa privilegiata.
“Chi ha visto una volta l’Italia conserva un pò di felicità per tutta la vita.”
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